Fotografia analogica per pochi, digitale per tutti? Forse le cose sono andate proprio così negli ultimi anni. Tranne pochissimi strumenti di largo utilizzo, quasi tutti quelli che utilizziamo quotidianamente hanno una fotocamera incorporata, dall’orologio allo smartphone. E se a questo aggiungiamo un mercato di fotocamere digitali reflex, mirrorless e compatte a prezzi stracciati, ognuno di noi, con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi momento, è diventato, da qualche anno, un “fotografo”.

Non occorrono statistiche o numeri per comprendere come l’esponenziale diffusione del digitale abbia fatto proliferare non solo la possibilità di scattare compulsivamente ma anche quella di “condividere” sui canali social, foto della propria esistenza e delle proprie abitudini.

Un esercito di smartphones muniti di una o più fotocamere accompagna, documenta, rappresenta un quotidiano variegato che spazia dal traffico congestionato al locale di tendenza. Laddove un esercito altrettanto nutrito di fotocamere digitali ci scorta in vacanze, celebrazioni, eventi e feste varie.

Grazie all’accessibilità del digitale, la fotografia è diventata una consuetudine automatica e meccanica lasciando perdere un po’ quel fascino che aveva nonostante il digitale non abbia spento la bravura, la creatività, l’arte e la cultura di tanti eccezionali fotografi di oggi.

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La fotografia analogica e la sua rinascita

Qualcosa, però, è successo. Proprio quando l’ascesa tecnologica sembrava raggiungere il punto di non ritorno, ecco il colpo di scena inaspettato (o forse no). Quando sembrava ormai relegata a culto per pochi nostalgici ed appassionati, ecco che la fotografia analogica si è svegliata dal suo letargo con un colpo di coda.

E non l’ha fatto solo in termini pratici, ma anche grazie alla tecnologia, per quanto strano possa sembrare. Ci avete fatto caso quanto piaccia il “retrò” di questi tempi? Di quanti filtri vintage ci siano in giro che graffiano, sporcano, distorcono, sfumano, sfocano, desaturano e virano in colore, come le foto dei nostri nonni, dei nostri genitori, di qualche reportagista di tempi andati?

Ecco che il contagio del “vintage” ha generato un effetto positivo anche nel mondo della fotografia e non da poco tempo. Che succede? L’appassionato nostalgico ed il professionista tentacolare, rispolverano il fascino della camera oscura, degli acidi e dei rullini laddove, invece, nel mercato di massa si sta diffondendo la riproposizione di fotocamere digitali che riproducono l’aspetto delle più gloriose macchine fotografiche d’epoca.

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Su questo secondo aspetto basta guardare in casa Fuji (serie XT- X 100 e Pro), Olympus (OM-D e PEN), Leica (il catalogo esclusivo della serie M e non solo) laddove già Nikon, con il modello Df, aveva dato questa scossa qualche anno fa. La stessa Leica, rigida stakanovista nel mantenere l’aspetto retrò dei suoi gioielli più moderni, non solo sta allargando la gamma con la stessa filosofia, ma sta rendendo più accessibili i suoi prodotti con politiche commerciali favorevoli all’acquisto non solo di nicchia.

Piace anche, e molto, l’aspetto retrò al punto dal realizzare il sogno di possedere tra le mani un «oggetto» con una vera storia alle spalle invece di una produzione, benché raffinata, di design. Fa quasi sorridere il ricordo di chi, agli albori del digitale, sognava un sensore al posto della pellicola nella sua “vecchia” macchina preferita. Sogno che, oggi, sembra realizzato sotto molteplici aspetti. E tutti sembrano affascinati dall’idea di possedere al collo una fotocamera di metallo, magari con la cordina in pelle.

La fotografia analogica nel mondo dei giovani

E i giovani, stranamente, ci stanno: il mercato, in espansione costante anche se ancora di nicchia, non è fatto solo di nostalgici. I protagonisti sono infatti soprattutto dei veri e propri «indigeni digitali», che non hanno mai conosciuto la camera oscura e che si lasciano sedurre anche dall’attesa di vedere una foto stampata come unica via. Ecco che alla festa con gli amici ora è irresistibilmente trendy portarsi la attempata Polaroid di papà (o magari la nuovissima Fuji Instax Mini) per consegnare al volo quei quadratini di “dolcissimo” cartoncino 8X8 che non sono un più un file ma una foto, una vera foto stampata.

Di riflesso ecco che questa situazione sembra aver smosso anche l’ambito della vera fotografia analogica, ossia tutto il mondo legato alle pellicole oltre che alle fotocamere.

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I casi e i brand coinvolti sono molteplici: la Lomography, protagonista della fotografia analogica low fidelity, con i suoi numerosi modelli, la Diana, celebre per il suo formato quadrato, e così via. E cosa possiamo dire del caso Fujifilm? Le vendite della Instax, popolarissima macchina fotografica istantanea, hanno subito un’impennata incredibile, passando dai 100.000 modelli venduti nel 2004 ai 3,9 milioni di modelli venduti del 2014 arrivando ai più di 5 milioni venduti nel 2016!

Di concerto non stupisce che anche il mercato delle pellicole stia vivendo un periodo particolarmente rigoglioso: basti pensare alla Kodak, che, dopo una temporanea bancarotta nel 2012, sta rimettendo in produzione alcune delle sue pellicole più famose. L’inaspettata conferma di questo andamento è arrivata nel 2015 quando, da un report di Amazon US, è emerso che le pellicole per la Fujifilm Instax mini sono state il prodotto più venduto in ambito fotografico nel periodo natalizio, addirittura più dell’ultimo modello GoPro.

Per non parlare dell’inglese Ilford: dopo il fallimento da “catastrofe” digitale e la rinascita nel 2005 con la ragione sociale di «Harman Technologies», è stata acquisita e rinvigorita dal gruppo Pemberstone Ventures.

La tecnologia va avanti ma la moda segue onde imprevedibili che portano benefici inaspettati. Jeans a zampa di elefante mai morti, Adidas di trent’anni fa che sembrano assolutamente modaiole anche oggi, Ray Ban «Aviator» e Fender Stratocaster sempre sulla cresta dell’onda. Cicli e ricicli. Succede anche per la pellicola. Se ne accorge persino la stampa specializzata: «Tutti Fotografi» in Italia (non è l’unica), «Chasseur d’Images» e «Reponses Photo» (francesi) dedicano articoli e spazio a prove a pellicole e apparecchi riesumati dal passato, magari con alcune modifiche, e alle tecniche di camera oscura.

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Riflessioni finali: solo nostalgia per la fotografia analogica?

Bisogna considerare, però, che la fotografia analogica richiede applicazione, costi, fatica e tempi di gran lunga superiore (e diversificati) rispetto al digitale. Oltre che una mentalità completamente votata a vedere risultati che ci potrebbero sembrare “datati” rispetto alla qualità del digitale. Tutto ciò potrebbe rappresentare forse il principale limite per una sua nuova diffusione ad ampio spettro. Anche se i numeri lo confermano, resta lecito chiedersi, con una vena di romantica curiosità, se questo sia solo l’inizio di un ritorno alle origini, di più ampio respiro, o se siamo di fronte ad una solita moda passeggera di massa.

Recentemente ho fatto una riflessione a riguardo, da fotografo immerso nel digitale. Devo ammetterlo, l’immagine digitale è più incisa, più pulita ma è anche più fredda, e lo diventa proprio quando dobbiamo necessariamente stamparla. La pellicola restituisce decisamente molto meno dettaglio, anche minore precisione nella sua lavorazione ma è sicuramente emotiva. A questo punto cosa diventa più interessante? Torno indietro di qualche anno e, chiudendo gli occhi, mi vedo di fronte alla stampa di un provino a contatto (ciò che era la stampa di prova diretta dal negativo) urlando di gioia per la sua bellezza.

La pellicola è morta? No, anzi, è nel pieno di un nuovo rinascimento. Nella speranza che viva ancora a lungo e che, come asserisce Salgado, riesca a farci comprendere quanto sia fondamentale, sensato ed emozionante innamorarsi di una stampa, lasciando da parte, qualche volta, uno schermo.

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